SPIEGARE LA RESISTENZA


.."No, non dite di essere scoraggiati, di non volere più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere." (Giacomo Ulivi - partigiano da Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza)


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<>EUGENIO CURIEL : LA PARTE MIGLIORE DELLA GIOVENTU' ITALIANA (*)


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<>I RAGAZZI E IL PARTIGIANO







giovedì 9 giugno 2011

EUGENIO CURIEL : La parte migliore della gioventù italiana(*)

Chi era l’uomo,alto, poco più che trentenne, inseguito e ucciso a raffiche di mitra e rivoltellate a Milano il 24 febbraio 1945 ,in via Enrico Toti, tra piazzale Baracca e piazza Conciliazione da quattro militi fascisti che indossano divise appartenenti alle variegate compagnie della repubblica di Salò, schierate a fianco dei tedeschi che occupano l’Italia ? I quattro sono Amilcare Rolando, Augusto Pratichizzo, Felice Ghisalberti, Rocco Santoro. All’angolo di via Boccaccio un gruppetto di ragazzi sostano parlando, sentono i colpi esplodere e si muovono. Uno di loro, Gianni Cervetti, vede l’ uomo steso, immobile,le gambe ferite e disarticolate,l’addome insanguinata. Quasi subito altri militi fascisti accorrono intimando a tutti, armi alla mano, di allontanarsi in fretta. Nello stesso tempo al caffè Biffi,sulla stessa piazza, due donne attendono la vittima ormai priva di vita. Una è la sorella Grazia,l’altra si chiama Bianca Diodati. Entrambe fanno parte della Resistenza milanese. Non vedendo arrivare il fratello, Grazia si allontana preoccupata, ansiosa, separandosi dalla Diodati che prende un’altra strada. Il giorno successivo i giornali scrivono dell’uccisione di uno sconosciuto ben vestito, di identità ignota,che porta occhiali da miope,un cappello di buona marca Borsalino, folti capelli scuri e ondulati,, cappotto di buona foggia e ottima lana merinos. Per due giorni lo sconosciuto resterà tale. Ma non per la polizia repubblichina che lo conosceva bene e da mesi lo cercava nella livida Milano di quel freddissimo inverno,denso di nebbia e di pericoli per tutti. La città è occupata militarmente da agguerrite forze naziste,percorsa da frequenti scorrerie vendicative di numerose bande fasciste, rese più truci dalla consapevolezza che ormai la sconfitta è sempre più vicina.

Lo sconosciuto era Eugenio Curiel, triestino, il più giovane tra i professori universitari ordinari italiani. Egli non vedrà la conclusione vittoriosa della Guerra di Liberazione nazionale alla quale aveva tanto contribuito. All’obitorio verrà identificato da Letizia Berrini, moglie di Giancarlo Pajetta,uno dei massimi esponenti antifascisti e della lotta partigiana.

Curiel riassumeva in sé il meglio del composito movimento che si opponeva al fascismo : ebreo, perseguitato razziale,valente studioso, confinato politico nell’isola di Ventotene, capo partigiano componente della direzione del Pci, costruttore e animatore del Fronte della gioventù nella Resistenza. Personalità di primo piano della cultura nazionale,il suo vissuto eccezionale è adeguatamente riassunto nelle pagine del volume “Eugenio Curiel nella cultura e nella storia d’Italia” a lui dedicato dall’Università degli studi di Padova.(1). E puntualizzato nella significativa motivazione della Medaglia d’Oro alla memoria concessa dalla Presidenza del consiglio dei ministri,a firma di Alcide De Gasperi.

Vi si legge :”Eugenio Curiel, capo del Fronte della Gioventù. Docente universitario, sicura promessa della scienza italiana, fu vecchio combattente, giovane di età, nella lotta per la libertà del popolo, chiamò a raccolta per primo tutti i giovani d’Italia contro il nemico nazifascista, Attratta dalla sua fede, dal suo entusiasmo e dal suo esempio, la parte migliore della gioventù italiana rispose all’appello ed egli seppe guidarla nell’eroica lotta ed organizzarla in quel potente strumento di liberazione che fu il Fronte della gioventù. Animatore impareggiabile, è sempre là dove c’è da organizzare, da combattere, da incoraggiare. Spiato, braccato dall’insidioso nemico che vedeva in lui il più pericoloso avversario, mai desisteva dalla lotta. Alla vigilia della conclusione vittoriosa degli immensi sforzi del popolo italiano, cadeva in un proditorio agguato tesogli dai sicari nazifascisti. Capo ideale e glorioso esempio a tutta la gioventù italiana di eroismo,di amore della patria e della libertà” (1). Il periodare è aulico,tipico del genere,ma il senso è veritiero e appropriato.

E lo ritroviamo nelle considerazioni dell’on Pietro Ingrao,Presidente della Camera dei deputati , il giorno successivo al Convegno di Padova dedicato alla figura ed opera di Curiel ( vedi

nota (2). Egli sente il bisogno di portare una testimonianza sul perché e sulle ragioni che spinsero una generazione di giovani a trovarsi quasi proiettata di forza, costretta, in un modo che ne segnò per sempre la vita e nel caso di Curiel lo portò alla morte sul campo. Dice Ingrao: “ ..la vita di Curiel a me sembra la parte alta di una svolta nel cammino del Paese e nella vita di milioni e milioni di persone, che ha fatto epoca e che ha segnato indelebilmente il volto di un intero secolo.

Spesso sento una sorta di malcontento, di insoddisfazione per il modo in cui ragioniamo e sentiamo parlare di ciò che abbiamo chiamato Resistenza. Dire lotta di libertà è nominare una cosa grande e alta. Eppure io penso che nemmeno queste parole diano pieno ragione di ciò che è stata la lotta contro il nazifascismo. Curiel è l’espressione altamente simbolica di ciò che una generazione si trova di fronte e come la scruta, l’interroga e passa all’azione, scende in campo. Il problema che si pose allora era come liberarsi: come mettere in cammino un processo di liberazione nel momento in cui non solo i resti del fascismo si mettevano al servizio di Hitler,ma il Paese veniva militarmente occupato dagli eserciti alleati, in corsa ormai verso la vittoria. In breve: come ridefinirsi nazione. E questo, in un Paese in ginocchio, richiedeva uno sforzo enorme. ..levarsi in piedi e mettere in movimento un processo di liberazione dallo straniero. Farsi attori di una lotta di popolo; di una lotta armata. Questa necessità - continua Ingrao- è chiarissima e primaria in tutti gli scritti di Curiel dopo l’8 settembre 1943 : il ricostruirsi come nazione nella catastrofe e nel ridefinirsi degli assetti mondiali. Qui torna l’enorme significato della Resistenza, che forse stiamo lasciando sbiadire…”

Ingrao sottolinea il rigore di Curiel ,il suo “ascetismo”. Cita un ricordo di Gillo Pontecorvo che parla dell’impegno reciproco imposto da Curiel, di parlare nei primi cinque minuti dei loro incontri, dei libri appena letti. E con tenerezza delle modalità di quegli incontri che “ si svolgevano di corsa per le strade,correndo lui dietro alle lunghe gambe instancabili di Curiel, dovendosi continuamente guardare intorno e alle spalle per controllare..se si era o no seguiti dagli sbirri.”

“ Possiamo solo ritrovarci con lui commemorando- sono ancora le parole di Ingrao- tenendo viva

la memoria comune. E apprendendo da quella esperienza di lotta così intensa, così radicale, così capace di donarsi, di dare agli altri ; quelli di oggi e quelli che verranno . Un rito? No. Siamo in una età di transizione, di mutazioni enormi e tumultuose , di profonde innovazioni nei saperi e anche di turbamenti e rischi nuovi per la libertà e per la democrazia. La memoria non solo salva il passato, ma è comprensione del presente…Amo molto il poeta tedesco Bertold Brecht. Permettetemi di leggere questa sua poesia intitolata A coloro che verranno…Dice il poeta:…”quando sarà venuta l’ora/ che all’uomo sia di aiuto l’uomoEcco , per questo ha lottato e dato la sua vita Eugenio Curiel: perché finalmente “l’uomo sia di aiuto all’uomo”.

Il Fronte della Gioventù venne costituito a Milano nel gennaio del ’44, per mobilitare alla lotta antifascista e alla Guerra di Liberazione. Fu composto in forma unitaria dai rappresentanti dei giovani comunisti, socialisti,democratici cristiani, a cui si unirono successivamente giovani liberali,del Partito d’Azione, repubblicani,cattolici comunisti, Ragazze dei Gruppi di difesa della donna, giovani dei comitati contadini . La base ideale e programmatica fu elaborata da Eugenio Curiel e si concretizzò in una riunione svoltasi a Milano nel Convento dei Servi di Maria adiacente alla chiesa di San Carlo al Corso auspici due religiosi : padre Camillo De Piaz , padre Davide Maria Turoldo. All’incontro clandestino in una gelida e spoglia saletta erano presenti, oltre a Curiel, Pontecorvo e i giovani cattolici Alberto Grandi ( studente al Politecnico milanese ) e Dino Del Bo organizzatore dei gruppi giovanili della Democrazia cristiana, proveniente dalla Università cattolica del Sacro Cuore.

Stava nascendo un nuovo concetto di Patria per interessare e mobilitare fin dai primi momenti della Resistenza soprattutto i giovani, studenti, militari, incerti e confusi, operai e contadini fino ad allora tenuti ai margini della società, ragazze subordinate da costumi arcaici e tradizioni in disfacimento. Una realtà magistralmente tratteggiata da Concetto Marchesi storico dell’antichità nella sua prolusione all’inaugurazione dell’Anno Accademico 1943-44, nell’ Aula Magna dell’Università di Padova. “ Sotto il martellare dei questo immane conflitto cadono per sempre privilegi secolari e insaziabili fortune, cadono signorie, reami, assemblee che assumevano il titolo della perennità. Ma perenne e irrevocabile è solo la forza e la potestà del popolo che lavora e della comunità che costituisce la gente invece della casta…Giovani,confidate nell’Italia. Confidate nella sua fortuna se sarà sorretta dalla vostra disciplina e dal vostro coraggio, confidate nell’ Italia che deve vivere per la gioia e il decoro del mondo, dell’Italia che non può cadere in servitù senza che si oscuri la civiltà delle genti ” (3).

Con l’8 settembre 1943 – uno dei momenti più tragici della storia italiana- era davvero morto il concetto di Patria, come si è sentito di recente affermare in qualche definizione di storici improvvisati e supponenti ? Sì, una patria era morta,la patria fascista,certamente, non la patria italiana. La patria fascista era sparita, cancellata dalla guerra che il regime mussoliniano aveva voluto trasformando l’Italia in una nazione violenta,guerrafondaia,aggressiva delle patrie di altri popoli vicini (Albania, Francia,Grecia,Jugoslavia,Inghilterra,Russia).Che nulla ci avevano fatto di male. Sono fatti,realtà che nessuno può contestare.

Ma il nuovo concetto di patria lo leggiamo nelle parole di Concetto Marchesi nella prolusione già citata.”Il lavoro c’ è sempre stato nel mondo,anzi la fatica,imposta come una fatale dannazione. Ma oggi il lavoro ha sollevato la schiena, ha liberato i suoi polsi,ha potuto alzare la testa e guardare attorno. Lo schiavo di una volta ha potuto anche gettare via le catene che avvincevano per secoli l’anima e l’intelligenza sua. Non solo una moltitudine di uomini,ma una moltitudine di coscienze è entrata nella storia a chiedere luce e vita,a dare luce e vita”.

8 settembre 1943, dunque. Leggiamo le parole del giuramento che alcune settimane dopo pronunciavano i militi delle SS italiane all’atto dell’arruolamento. Ripetiamo,SS italiane. Non quelle germaniche,a tutti note. Al loro fianco c’erano anche quelle italiane: 20.000 connazionali, per lo più volontari, schierati con l’esercito tedesco che aveva invaso il nostro Paese. Italiani che giuravano lealtà e fedeltà non all’Italia ( sia pure l’Italietta del risorto fascismo della repubblica di Salò) ma alla Germania nazista e direttamente al suo capo Adolf Hitler :

“Davanti a Dio presto questo sacro giuramento che nella lotta per la mia Patria italiana contro i suoi nemici sarò in maniera assoluta obbediente ad Adolf Hitler,supremo comandante dell’ Esercito Tedesco e quale soldato valoroso sarò pronto in ogni momento a dare la mia vita per questo giuramento” (4).

Parole, queste, che sottendono chiare intenzioni,impegni di tradimento della vera Patria. Così infatti le definirà una Legge emanata dal legittimo governo del Re, configurando il reato di “collaborazionismo col tedesco invasore”.

E noi ribelli e sbandati, non volendo fare giuramenti di quel tipo,volendo solo giurare per l’Italia ,prima ancora di diventare partigiani organizzati,quale concetto di patria avevamo nelle nostre coscienze? Non più quello di una patria “ufficiale” , quella tramandataci dalle lotte risorgimentali che il fascismo aveva stravolto invadendo le patrie degli altri, trasformando i nostri soldati in aggressori e violenti conquistatori di terre straniere. Ci scoprimmo, quasi improvvisamente, patria noi stessi, come popolo ingannato da un regime dittatoriale, desideroso di riscattarsi, alla scoperta di una nuova dignità nazionale, raccogliendo l’appello per un nuovo esercito, quello partigiano, in cui non ci si arruolava per obbligo,ma per scelta volontaria. All’indomani dell’8 settembre, molti giovani scelsero di non arrendersi al tedesco occupante, di combatterlo e cacciarlo dalla nostra terra. Non si trattava più di andare fuori dai nostri confini per delle guerre ingiuste; si trattava di liberare noi stessi e tutti dal servaggio tedesco e dalla sottomissione al fascismo nostrano. Era un rinnovato senso di Patria, che comportava anziché leggi razziali e campi di sterminio,concetti di democrazia,di libertà,di giustizia sociale per le classi più povere e sfruttate. Dunque una nuova idea non imposta ,l’idea di Curiel di legame civile e istituzionale arricchito dall’appartenenza ad esso di ceti dimenticati e umiliati, degli operai,dei contadini,delle donne sempre escluse ed emarginate dalla società.

Gli uomini di cultura e gli studenti si riconobbero nell’Appello di Marchesi che qualche mese dopo abbandonava l’Ateneo perché “non era più tempo di libri e di studio,ma di lotta”

Egli affermava rivolto ai giovani: “ Una generazione di uomini ha distrutto la vostra giovinezza e la vostra patria; vi ha gettato tra cumuli di rovine. Voi dovete tra quelle rovine portare la luce di una fede, l’impeto dell’azione e ricomporre la giovinezza e la patria. Traditi dalla frode, dalla violenza,dall’ignavia, dalla servilità criminosa, voi, insieme con la gioventù operaia e contadina, dovete rifare la storia dell’ Italia e costituire il popolo italiano” (5).

Era l’indicazione di nuove strade da percorrere; la strada del Movimento partigiano, che riempiva di nuovi valori liberamente accettati il concetto di patria. Accanto all’indipendenza nazionale,il riconoscimento del lavoro e uno Stato democratico fondato su nuove leggi,su nuovi diritti.

L’immane tragedia che stava distruggendo città,campagne,borghi e coscienze era sotto gli occhi di tutti.I fatti che accadevano erano illuminanti e incontestabili.

A metà settembre del ’43 appaiono sui muri manifesti recanti l’ordinanza del Feldmaresciallo Albert Kesselring comandante di tutte le truppe germaniche in Italia. Consta di dieci punti,tutti assai chiari. Il primo avverte perentoriamente che “Il territorio d’Italia a me sottoposto è dichiarato territorio di guerra; in esso sono valide le leggi tedesche di guerra.”.

Nell’Italia del nord vengono costituite due nuove e inventate entità regionali : l’Alpen Vorland e l’Adriatisches Kustenland. Sono dirette con pugno di ferro da Gauleiter (governatori) nominati direttamente da Berlino, dotati di poteri assoluti. Si configura sotto ogni aspetto l’annessione alla Germania di interi pezzi del nostro Paese. L’Alpen Vorland comprende le province di Bolzano,Trento,Belluno, l’ Adriatisches Kustenland ( Il Litorale Adriatico) ingloba Udine, Pordenone,Gorizia,Trieste,Pola,Fiume.

Nell’estate del ‘44 i tedeschi fanno arrivare in Carnia oltre ventimila militari collaborazionisti, provenienti dalla Russia e dal Caucaso. Sono cosacchi del Don,del Terek e del Kuban, georgiani,musulmani ceceni,daghestani,calmucchi,kabardini,ingusci,osseti, accompagnati da intere famiglie e parenti vari.

La Carnia diventa il Kosakenland in Nord Italien ; questa la denominazione coniata direttamente dai tedeschi. Il Kosakenland è occupato totalmente dalla Ruskaja Osvobotelnaja Armia, pittoresca ma feroce accolita di disperati in fuga su carriaggi agricoli,trainati da cammelli e dromedari,con 6000 cavalli e bovini al seguito. Li comandano gli Atamani (generali) Piotr Nikolajevic Krasnoff e Mikail Salamakin. Vestono divise con fogge diverse, armati di mitragliatrici pesanti e cannoni. Numerosi paesi debbono evacuare gli abitanti,cedendo case,pascoli baite,boschi ai nuovi arrivati tra i quali c’è anche una strana regina ossequiata da notabili, ufficiali, pope e muezzin. Si tratta per lo più di militari scarsamente disciplinati,esuberanti che inscenano balli improvvisati sulle piazze, spesso con abbondanti libagioni, aggressivi nella repressione di ogni opposizione dei nativi e negli attacchi alle formazioni partigiane friulane.Danno anche alle fiamme baite, fienili,rifugi sequestrando cibarie,animali,legname,ortaggi. Un vero flagello, documentano storici e cronisti.

Questa era l’immagine concreta della patria fascista. Inaccettabile quindi,da sconfiggere e cancellare. Anche per questa decisiva ragione alle soglie dell’inverno ’44, il Fronte della gioventù diretto da Curiel lancia e organizza capillarmente una campagna di sostegno e di tangibile vicinanza al movimento partigiano. Che in numerose località incontra positivi risultati. Nel rapporto illustrato da Curiel alla Conferenza dei Triumvirati insurrezionali, pubblicato sul giornale La nostra lotta del 25 novembre (6)leggiamo:

“ L’inverno che sopraggiunge pone dei precisi obbiettivi…Per la solidarietà nazionale verso le nostre ardite avanguardie combattenti dobbiamo mobilitare le più larghe masse. La campagna di aiuto ai partigiani che si riassume nella settimana del partigiano…deve riuscire. E riuscire significa raccogliere una quantità di indumenti e di viveri e di denaro tale da poter essere considerata un valido apporto allo sforzo che il popolo italiano fa per bastare a se stesso, per riuscire a rifornire con le sole sue forze il suo esercito popolare…Il Fronte della Gioventù deve intensificare nelle proprie file il reclutamento per le formazioni partigiane di montagna. Il giovane che giunge in questo momento nella formazione è un testimonio prezioso della concreta solidarietà di tutto il popolo che vuole essere…vicino alla sua avanguardia armata. Non sarà difficile soltanto la vita delle formazioni partigiane- continua Curiel- difficile, sempre più difficile diventa oggi la vita delle grandi masse popolari. C’è la fame; la dispensa di casa nostra, di nostra madre è vuota. La nostra organizzazione deve promuovere dei comitati di caseggiato, dei comitati di rione, deve essere essa stessa a lanciare la parola d’ordine dell’intervento diretto. Prenderemo il pane dove c’è, la legna dove c’è, organizzeremo il nostro mercato bianco per il rifornimento diretto, a prezzi equi, presso i contadini dei villaggi vicini. Le nostre ragazze si mobilitino per rifornire il loro caseggiato, organizzino un comitato per l’approvvigionamento. Vadano nelle campagne a promuovere la solidarietà concreta delle masse contadine, spezzino dove ancora è rimasta, la barriera di diffidenza che il fascismo ha creato tra le masse popolari delle città e le masse contadine, vadano a parlare con i contadini, li aiutino nei loro bisogni e una viva solidarietà tra la città e la campagna…Così noi vogliamo stabilire la nostra legalità, la legalità democratica…pegno per la costruzione della nuova Italia”.

Scrive ancora nel 1944 sui compiti del Fronte (7) :

”Il FdG deve promuovere la formazione di gruppi nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nei villaggi …I giovani operai debbono agitare i problemi degli apprendisti, esigendo che a pari lavoro venga corrisposto pari salario; debbono esigere la cessazione dei licenziamenti degli obbligati al servizio militare o quanto meno esigere la corresponsione di un anticipo sufficiente a permettere loro di sottrarsi alla chiamata…i giovani studenti debbono affiancarsi alla lotta che si conduce nelle campagne contro le requisizioni naziste e fasciste, debbono formare punti di appoggio e di rifornimento per i partigiani e per i giovani datisi alla macchia per sottrarsi al servizio militare. I gruppi femminili debbono sviluppare nelle forme opportune l’assistenza ai partigiani… La coesione sociale del Fronte deve cementarsi nella naturale collaborazione dei giovani di tutti i ceti alla guerra di liberazione nazionale..

Nel Bollettino del febbraio ‘44 invita gli ex soldati, i giovani del ‘22,’23,’24,’25 , alla formazione dei gruppi di resistenza alle retate dei fascisti e dei nazisti .I giovani non debbono dimenticare quei loro compagni che già sono caduti nelle grinfie del sedicente esercito repubblicano. Molti di essi hanno dovuto presentarsi perché i fascisti avevano imprigionato il padre, la madre ,le sorelle e gettato sul lastrico le loro famiglie.

“Avvicinateli,mantenete con loro rapporti cordiali e guidateli sulla via del riscatto: essi possono riconquistare il loro onore di italiani lottando nelle file dell’esercito fascista sabotando la vita nelle caserme, passando armi e viveri ai gruppi partigiani…”

Aggiunge più avanti “La gioventù deve legare la sua lotta alla lotta operaia,deve trascinare in essa tutte le masse popolari,affinchè lo sciopero generale divenga sciopero dichiaratamente politico e si trasformi infine in sciopero insurrezionale…(8 )

L’interesse per lo studio e la cultura è fondamentale per Curiel. Non mancano nei numeri del Bollettino le segnalazioni di libri da inserire nelle biblioteche dei gruppi giovanili. Accanto a Steinbeck ( Furore) e Fabietti ( Storia del risorgimento)c’è un libro di Drigo ( Maria Zef) sulla vita primitiva dei montanari poveri in Carnia.

A ricordare l’impegno generoso di tanti giovani del Fdg, restano di pregnante attualità le considerazioni di Gillo Pontecorvo: “ E’ essenziale contro il logorio del tempo conservare i documenti del passato, della storia dove sono le nostre radici… è’ importante riaffermare i valori ideali che spinsero e sostennero tanti giovani spesso neppure ventenni a combattere

“ Ingenuo ( quell’impegno nda) forse nelle sue utopie,nel suo credere alla possibilità di erigere un mondo completamente nuovo sulle ceneri della dittatura fascista,ma tanto più significativo oggi come esempio,in un’epoca dove tutto è monetizzato, tutto è solo business e dove l’interesse verso gli altri è ogni giorno più raro. Se mi chiedessero oggi cosa caratterizzava maggiormente la posizione morale del Fdg, direi, senza esitazioni: la lotta contro l’indifferenza che per contro,segna così negativamente il nostro tempo” (9).

Come sostiene Giorgio Amendola (10) Curiel, con la sua cultura, con il suo ingegno,con la sua volontà politica, resta uno dei migliori dirigenti espressi dal travaglio vissuto dalle generazioni che hanno cercato di uscire, e sono uscite, dalla gabbia delle organizzazioni e degli insegnamenti del regime fascista.

Primo De Lazzari

(*) dal volume per l’Italia -150 anni di cittadinanze attive” ESEDRA editrice,Padova ( a cura di Guido Turus e Lorenzo Capalbo )

NOTE

1) Studio editoriale Programma, Padova 1997, a cura e presentazione di Lino Scalco

2)30 luglio 1949, numero d’ordine 34 ( in “ Eugenio Curiel al confino e nella lotta di Liberazione”, Nicola Teti editore, Milano 1981, prefazione di Arrigo Boldrini

3)Vedasi “L’Università di Padova per la Resistenza” Marsilio editori, Venezia,1964

4) Vedasi P.De Lazzari “Le SS italiane “ ( terza edizione), Teti editore,Milano,2002,pag 95

5)Vedasi nota 3

6) In Eugenio Curiel ”Scritti” 1935 -45, Editori Riuniti- Istituto Gramsci, Roma 1973, pag.265-266, vol II°, parete seconda

7) Riferimento documentale in nota 6

8) Riferimento In nota 6

9) Vedasi P.De Lazzari “Storia del Fronte della gioventù nella Resistenza”,terza edizione,Gruppo Ugo Mursia editore,Milano,prefazione

10) Nota 6, Vol .I°, prefazione